20 Luglio 2020
Gli ambienti universitari dovrebbero essere quei luoghi in grado di ridisegnare la realtà. Lo spirito critico insito nella formazione studentesca serve esattamente a questo: a riscrivere i tratti sociali, economici, politici che influenzano la vita delle persone. Nella pratica, però, le università si stanno lentamente appiattendo alle regole che governano il mondo e invece di trovare nuove modalità di espressione finiscono semplicemente per conformarsi a queste. L’emergenza sanitaria lo ha dimostrato. Le figure più a rischio nella vita sociale, lasciate sole nella quotidianità, esistono anche negli ambienti accademici. E spesso coincidono.
Secondo uno studio commissionato dal Ministero dell’Università e della Ricerca è probabile che l’ambiente universitario durante il prossimo anno accademico si ritrovi a vivere una situazione analoga a quella verificatasi in seguito alla crisi economica del 2008, ossia un calo degli iscritti del 10%, nella migliore delle ipotesi, o del 20% nella peggiore. Una perdita decisamente rilevante se si pensa alla situazione già precaria del quadro accademico italiano nei confronti degli altri paesi europei. Secondo Eurostat, l’Europa ha compiuto significativi passi in avanti riuscendo oggi ad ottenere una media di giovani laureati del 40,7%. Il vertice è occupato dai paesi nordici dove un giovane su due è in possesso di un diploma di laurea. La media italiana resta invece ancora bassa, con solo il 27,8%. Secondo il 21° rapporto del Consorzio interuniversitario AlmaLaurea, relativo all’anno 2019, riesce a laurearsi solo chi ha alle spalle famiglie economicamente stabili.
Il calo delle iscrizioni non è un aspetto da sottovalutare. Si tratterebbe innanzitutto di una perdita ai danni del progresso sociale e di una limitazione delle possibilità di lavoro per molti giovani, oltre a poter comportare la soppressione dei corsi di laurea meno frequentati. Le università lo sanno bene e infatti ogni anno investono importanti risorse per organizzare attività di orientamento, ma i problemi a cui i diplomandi stanno per andare incontro difficilmente saranno superati da una presentazione di powerpoint sull’offerta formativa universitaria. Il ministro Manfredi ha proposto come soluzione un ampliamento della NO Tax Area, misura che al momento non sembra in grado di arginare la situazione. Se il tessuto economico e sociale del paese subisce un’improvvisa mutazione, il sistema accademico non può restare fermo pensando di non doversi confrontare con il cambiamento.
La situazione dei diplomandi, delle famiglie e degli iscritti non è più quella di prima. Lasciare invariato l’assetto universitario, alla luce di questo, significa venire meno al processo critico, e non statico, a cui l’istruzione dovrebbe abituare. L’unico modo che hanno le università per continuare ad essere punti di riferimento per gli studenti è quello di rendere – molto più di quanto non sia oggi – accessibile a tutti il diritto allo studio. Liberarsi da ogni tipo di restrizione. A partire dal numero chiuso previsto per molti corsi di laurea, fino ad arrivare all’eliminazione dei criteri di merito che restringono il raggio d’azione della NO Tax Area. Il diritto allo studio si alimenta di tanti bisogni che spesso richiedono dei costi. Sono proprio questi a pesare di più sulle spalle delle famiglie. Un sistema frastagliato tra i vari istituti, che garantisce poche borse di studio e molti idonei non beneficiari, che si cura poco di trasporti, mensa e dell’acquisto dei testi, è destinato ad implodere. La gratuità deve riguardare ogni aspetto della vita accademica.
L’accesso all’istruzione deve essere libero, non soltanto agevolato. Gli istituti accademici devono liberarsi da questo concetto di gara interiorizzato, che si ripercuote tanto nel ranking nazionale e internazionale – con conseguenze dirette anche sui finanziamenti – quanto nella vita accademica degli stessi iscritti. I fuori-corso non sono studenti di seconda categoria. Non possono continuare ad essere esclusi da ogni misura economica di agevolazione, assumendo nei loro riguardi un atteggiamento punitivo per aver intrapreso la carriera accademica secondo un approccio personale. L’unico modo che ha l’università per non essere messa da parte è quella di mettere in campo ogni possibile misura, economica e non, per dare a tutti la possibilità di ampliare le proprie conoscenze attraverso un percorso di crescita umana e culturale. Gli istituti accademici dovranno loro stessi riconoscersi fondamentali per i giovani e, in quanto tali, trovare il modo di affermare un nuovo concetto di comunità accademica. Questa volta che includa davvero tutti.
Articolo tratto dal bollettino informativo PROVA DA SFORZO