5 Marzo 2018
Stupefacente la capacità di Spielberg di scardinare in maniera sottile ed elegante le contraddizioni che impregnano (da sempre) la società, il potere, il lavoro, la libertà d’espressione. Candidato agli Oscar 2018 per le categorie “miglior film” e “miglior attrice protagonista”, The post si rivela una pellicola estremamente puntuale nel comunicare l’efficacia, le possibilità ed il pericolo che la parola possiede. La visione “Spielbergeriana” non si presta a sensazionalismi, ma catapulta gradevolmente lo spettatore nel mondo del giornalismo americano anni 70, retrò e confusionario, completamente aderente all’immaginario collettivo: redazioni dismesse, fogli volanti, scrivanie sovraccariche e notizie avvolte in carta da pacchi nelle mani di cronisti in fuga. Tra pagine di quotidiani e scrittori sottopagati in giacca e cravatta si interseca lo scandalo della pubblicazione, da parte del Times, dei famigerati “Pentagon Papers”, appunti destinati agli accademici sull’andamento della guerra in Vietnam e fotocopiati dall’economista Daniel Ellsberg. Alla denuncia della Casa Bianca al celebre giornale, risponde il Post con una pubblicazione in prima pagina riguardante l’intero fascicolo top secret su una guerra persa in partenza, dato di cui il governo americano era consapevole fin dal principio.
Dietro le otto ore in cui l’intera redazione interpreta i quaderni segreti, si nasconde una storia di identità e difficile disgregazione dei ruoli sociali: da una parte Kay Graham, editrice del Whashington Post, in lotta con un ambiente lavorativo maschilista, dall’altra il direttore Ban Bradlee, il cui unico scrupolo è la difesa della libertà di stampa e la favolosa pretesa di poter comunicare al mondo che i dati possono essere estromessi dalla loro manipolabilità. La coppia Streep\Hanks regala un’interpretazione dei ruoli magistrale (la Streep ottiene l’ennesima nomination), favorendo l’emersione delle fragilità di entrambi i personaggi alle prese con una decisione ardua e non priva di conseguenze. La Graham è una donna delicata ed essenziale, ma non si sottrae alle emozioni. Occupa un posto che per la maggior parte dei colleghi non le spetta, ma comprende, dopo un lungo processo di autoconsapevolezza, di essere in grado di gestirlo seguendo soltanto il proprio istinto, imparando ad avere coraggio ed appoggiando in toto l’infaticabile battaglia di Ban Bradlee, empatico e competitivo, per la libertà di stampa.
La regia di Spielberg è snella ed essenziale, la narrazione non precipita mai in una eccessiva drammaticità, rendendo alcune scene iconiche e facilmente imprimibili nella memoria dello spettatore: basti pensare alla lettura collettiva dello scandalo sul Times all’interno della redazione del Post, immobile e silenziosa, o la passeggiata della Graham in tribunale tra gli sguardi d’approvazione delle donne presenti (e in generale i mille silenzi e le espressioni a dir poco perfette della Streep). Per gli amanti del giornalismo, The Post è esteticamente e contenutisticamente perfetto. Una buona occasione per gli appassionati del genere, per rivedere in successione il nuovo prodotto di Spielberg e il pluripremiato “Tutti gli uomini del presidente”, film sullo scandalo Watergate condotto proprio dal sopracitato Whashington Post.
Maria Vittoria Santoro