11 Ottobre 2020
The social dilemma è il documentario Netflix del momento, tutti ne parlano e lo consigliano. Il documentario del regista americano Jeff Orlowski, intende a tutti i costi farci aprire gli occhi sulla nostra realtà, fatta di smartphone, di rapporti sociali sempre più ridotti all’osso e di una vita basata sulle apparenze. Il docudrama intreccia due filoni principali: quello documentaristico e quello della narrazione filmica che tratta le vicende di una classica famiglia americana e degli effetti di un abuso malsano della tecnologia da parte dei figli. L’alternanza delle scene sottolinea proprio le tematiche che affrontano gli ex dipendenti della Silicon Valley, come se volessero essere messe in risalto per farle arrivare più nitide allo spettatore. Rispetto ad altri prodotti che trattano lo stesso tema, the social dilemma, va più in profondità trattando anche la dipendenza stessa dei lavoratori delle grandi aziende di internet, passando ai preadolescenti, arrivando poi alle conseguenze in politica. Il documentario insiste continuamente su quanto tutti noi siamo manipolati dai social e come internet conosca perfettamente i nostri gusti, tutto solo grazie ad un algoritmo. Ogni “mi piace”, ogni condivisione, alimenta sempre di più un prototipo di noi stessi che ci guida ai contenuti che ci interessano, facendoci vedere cose diverse ad ognuno di noi.
“Solo due settori chiamano i loro clienti utilizzatori: le droghe illegali e i software” – Edward Tufte
In poche parole, The Social Dilemma cercherà di innescare nello spettatore alcune domande, per poterci riflettere autonomamente: i social sono davvero così pericolosi? Possiamo davvero definirli interamente negativi o posso aiutarci nella quotidianità? Ragionando sulla questione i social ci aiutano a diffondere notizie che altrimenti non sapremmo, firmare petizioni, aiutare a le persone in difficoltà o partecipare a raccolte fondi. A cosa può portare un loro sviluppo così spaventosamente rapido in futuro? Nel documentario si parla di una guerra civile, ma è davvero questo quello che ci aspetta o riusciremo a cambiare la nostra situazione? È possibile che sia stato manipolato senza rendermene conto? Sappiamo ormai che i nostri dati e la nostra identità sono sparsi ovunque su internet e basta accettare i cookies su un sito per ritrovarci la pubblicità del prodotto che abbiamo cercato in ogni pop-up ed intersezione che ci appare. Ci serviva davvero un documentario del genere per capire che il web ci conosce più di molte altre persone? Non siamo noi che accettiamo la diffusione delle nostre informazioni? I social spingono per farci stare il più tempo possibile connessi e con il telefono in mano, con pubblicità, notifiche, tag e informazioni che potrebbero interessarci, ma chi lo fa accadere siamo noi. Il peso delle fake news e della propaganda politica e sociale che avviene sulle piattaforme più utilizzate è rischioso, più volte ha spinto le persone nelle piazze a manifestare o a scagliarsi uno contro l’altro. Il condizionamento psicologico che internet ha su di noi è più forte di qualsiasi discorso facciamo con un’altra persona, è un bombardamento continuo di informazioni che il nostro cervello capta anche inconsciamente.
“Se il prodotto non lo paghi, vuol dire che il prodotto sei tu”
L’intento di The social dilemma è lodevole, ma il vero dilemma è nella piattaforma in cui è stato rilasciato: non c’è dubbio che l’impatto politico di Netflix sia inferiore rispetto a quello di alcuni social network, ma la misurazione delle abitudini, e soprattutto la creazione, usando questi dati, di un’offerta tagliata su misura il cui scopo principale è quello di trattenere l’utente il più a lungo possibile su una piattaforma, sono tutte tecniche che Netflix usa tanto quanto Facebook, e che nascono dalla stessa idea dell’utenza, per quanto pagante, come prodotto.
Gaia Troisi e Chiara Napoli