16 Maggio 2019
Nel mese di Aprile in Turchia venti donne sono state vittime di violenza da parte degli uomini e, nella maggior parte dei casi, il luogo dove è avvenuto il crimini era la loro casa. È questo è solo uno degli episodi in cui il governo curdo anziché difendere le donne e i loro diritti, sceglie di proteggere gli uomini. Quest’ultimi, sentendosi superiori alla parte femminile della popolazione, hanno sequestrato e fatto irruzione in diverse municipalità amministrate dal Consiglio delle Donne del Partito democratico dei popoli (HDP). Nelle quali hanno proseguito poi all’arresto di donne sindaco curde eletti, sostituendole illegalmente con funzionari del governo turco designati, meglio noti come ” fiduciari”. La parlamentare Ayşe Acar Başaran, portavoce del HDP, ha spiegato che le donne vengono attaccate con i metodi dell’ISIS, bruciate con l’acido, torturate a morte e assassinate tagliandole la gola. Metodi che ricordano ciò che è accaduto mesi fa all’attivista politica Hevrin Khalaf.
“Un giorno, quando le cose andranno bene, ti guarderai indietro e ti sentirai orgoglioso di non esserti arreso.” Questo il suo stato di WhatsApp, un messaggio di speranza che non potrà mai essere cancellato o cambiato. Hevrin Khalaf, nata ad Al-Malikiya, una piccola città della Siria, il 15 novembre scorso avrebbe dovuto compiere 36 anni. Candeline che non ha potuto spegnere, perché dodici uomini hanno deciso di portarle via la vita. Hevrin Khalaf, una laurea in ingegneria civile ed una in letteratura inglese, ha pagato con il prezzo più alto la sua voglia di battersi per rendere le cose migliori, più giuste. Nella notte del 12 ottobre 2019 è stata brutalmente assassinata, con lei almeno altri otto civili sono stati giustiziati in tempi diversi, a Sud della città di confine di Tal Abyad.
Attivista politica, nel 2016 membro delle forze curde Ypg (Unità di protezione popolare) e Segretaria generale del “Partito per il Futuro della Siria” – nato il 27 marzo 2018 – Hevrin Khalaf aveva sposato totalmente e fedelmente i principi su cui si basava il suo partito. Tra i quali troviamo: la laicità dello Stato, l’idea di una Siria multi-identitaria, la rinuncia alla violenza in favore di una lotta pacifica per la risoluzione delle controversie, l’eguaglianza tra uomini e donne, il rispetto delle risoluzioni delle nazioni Unite. Si batteva per la coesistenza pacifica fra curdi, cristiano-siriaci e arabi, apprezzata e stimata dalla comunità. Nonostante avesse conseguito tutti i titoli per ottenere un lavoro governativo, nessuno voleva assumerla perché di nazionalità curda. Poi, una volta, un funzionario governativo baathista le ha chiesto 8.000 dollari in cambio di un lavoro presso il ministero dell’Economia. Da lì, ancora più forte la convinzione di Hevrin di battersi contro il regime corrotto della Siria.
La sua morte non è stata casuale. Si è trattato di un attacco pianificato, mentre viaggiava in auto lungo l’autostrada M4 che collega Aleppo, Manbji, Hasaka e Qamishli per raggiungere proprio quest’ultima città. Stava rientrando da un meeting tenutosi ad al-Hasakah, dove aveva partecipato ad una riunione con altri attivisti del suo partito, uno schieramento vicino ai Curdi che si proponeva il dialogo con Cristiani ed Arabi di confessione Sunnita e Sciita per la pacificazione del Rojava e la tutela dei diritti delle donne. Il veicolo è stato bloccato sparandogli alle gomme, l’autista ucciso quasi subito, mentre a lei spettava un trattamento diverso. Trascinata fuori dall’auto per i capelli, con talmente tanta forza da strapparle il cuoio capelluto, poi trucidata da colpi di arma da fuoco in diverse parti del corpo. Ferite traumatiche a braccia, gambe, addome, schiena, testa. Quest’ultima, talmente crivellata da causare la fuoriuscita di materia cerebrale. La causa della morte, secondo il referto dell’autopsia condotta dal dottor Tayceer Al Makdesi, specialista di Medicina Investigativa Forense, sono state le gravi emorragie presenti nel cervello provocate dagli spari alla testa. Numerosi i colpi inferti, alcuni anche a distanza ravvicinata. Inoltre, secondo il referto, nessuna violenza sessuale o lapidazione è stata praticata. Ma come mostrato nei video che sono circolati in rete, sul corpo di Hevrin non hanno smesso di accanirsi neanche quando era già morta. Contusioni multiple e fratture, causate da pietre o dal calcio del fucile, sono state inferte dopo il decesso probabilmente in segno di disprezzo.
Corone di fiori bianchi portate dai membri delle comunità, libri universitari e di cultura incastrati in una piccola libreria precedentemente destinata come credenza per la cucina, prodotti per il beauty che non saranno più utilizzati. E foto, tante immagini che portano a galla ricordi di un tempo perduto. Una stanza che è difficile da vivere, nella villetta in cemento grezzo due piani a Derek. Questo è ciò che resta a Saadia Mustafa, 62 anni, madre di Hevrin. «Ma che umanità siamo diventati noi, che stiamo zitti di fronte al barbaro assassinio di una giovane che voleva solo il bene del mondo?». È la domanda che pone a tutto il mondo una mamma che è stata costretta a dover compiere il gesto più doloroso che un genitore non dovrebbe mai fare: seppellire la propria figlia.
Amina Omar, co-presidente del Consiglio democratico siriano e grande amica di Hevrin, invece è sicura che ad uccidere quest’ultima siano stati gli estremisti jihadisti del Ahrar al Sharqiya, un movimento ben noto per le sue violenze terribili. Che siano state le milizie filo-turche o gli estremisti jihadisti, ciò non cambia l’esito. La sua morte ha suscitato numerose reazioni a livello internazionale e anche quella del presidente del Parlamento europeo David Sassoli. Quest’ultimo, infatti, ha sottolineato come Hevrin Khalaf fosse il volto del dialogo e dell’emancipazione delle donne in Siria e come la sua morte, un vero e proprio crimine di guerra, sia un orrore su cui la comunità internazionale dovrà andare fino in fondo.
Da anni impegnata per i diritti delle donne curde del Rojava, accanto a coloro che con coraggio hanno imbracciato le armi e giocato un ruolo fondamentale nella rivolta contro lo Stato Islamico, Hevrin si sarebbe indignata per la morte della combattente curda Amara Renas, uccisa e calpestata dai miliziani filo turchi, e avrebbe lottato per renderle giustizia. Amara e Hevrin, sono diventate simboli di una guerra che colpisce civili indifesi, rafforzando le convinzioni estremiste. Non bisogna dimenticare l’insegnamento di Hevrin, ma portarlo avanti. Ed è quello che farà Ayşe Acar Başaran ed il suo partito, perché nonostante i continui attacchi, il lavoro nelle municipalità non si fermerà.
Annaclaudia D’Errico