12 Settembre 2018
Passeggiare per la bella università più celebre del Sud-Italia è un po’ come visitare “Zora” di Italo Calvino, una città invisibile rammemorabile non per la sua bellezza o per le sue grandi imprese, ma per l’assoluta mancanza d’evoluzione. Statiche le case, statiche le strade, con gli stessi individui e le stesse successioni, “la vista scorre su figure che si succedono come in una partitura musicale nella quale non si può cambiare o spostare una sola nota”. Un paragone letterario dissonante, se lo sguardo è rivolto non alla città invisibile in cui nulla cambia, ma alla cittadella Unisa che si espande, costruisce, incorpora, aggiunge, cavalca le classifiche del merito.
È necessario salire le scale due gradini alla volta ed entrare con fatica in quello spazio avverso, quello in cui abitano dipendenti sottopagati, tirocinanti sfruttati, appelli soppressi, numeri programmati in agguato. Benvenuti nel mondo di sopra, dove l’Università degli studi di Salerno pedissequamente non si occupa delle parti che la compongono e la scarsa tutela della partecipazione associativa alla vita universitaria è soltanto l’ultimo foglietto di uno spartito su cui è impossibile effettuare variazioni. In un bando per l’assegnazione degli spazi alle associazioni studentesche, che possono sperare di ottenere una sede in base al possedimento delle stesse di rappresentanti eletti -10 punti se dispongono di un rappresentante nel Consiglio d’Amministrazione o in Senato Accademico, 1 punto per ogni rappresentante in Consiglio di Facoltà, 0,22 per ogni rappresentante nel Consiglio Didattico di Giurisprudenza e 1000 bollini della Centrale del Latte- la percentuale dedicata alle associazioni socio-culturali non concorrenti alle elezioni è la nota stonata di tutta la partitura musicale: 10 per cento, una cifra esigua rispetto alla mole di spazi (spesso sfruttati al minimo delle potenzialità) presenti all’interno del campus.
Il degradante numerino è frutto di oculate decisioni di una governance che elabora un piano d’azione per favorire la vita pratica delle associazioni affidandosi soltanto ad un gretto e superficiale pensiero associativo: associazioni studentesche uguale rappresentanza. Un posto in cui stare, discutere ed esprimersi, lo merita soltanto l’eletto, colui che si è esposto, l’uomo o la donna che raccoglie consensi. Il membro delle organizzazioni culturali, per il consiglio d’Amministrazione, non necessita di una sede, uno spazio in cui identificarsi. È, in fin dei conti, un individuo “culturale”, in costante stato di rêverie, con un romanzo sotto braccio ed una tisana bio, lì a barcamenarsi tra un bookcrossing ed un cineforum senza un come e senza un perché.
Poco importa che le associazioni studentesche socio-culturali dell’Università degli Studi di Salerno, nonostante non partecipino alle elezioni studentesche, decostruiscano e commentino in maniera puntuale la realtà accademica, scrivano, si occupino di uguaglianza, soprusi, irregolarità all’interno di questo microcosmo, sostituiscano le mancanze di uffici poco organizzati, forniscano le informazioni necessarie per sopravvivere nella propria facoltà, o chiariscano informazioni ricavate da un sito sempre più somigliante al codice di Hammurabi. Nelle Città Invisibili Zora, “obbligata a restare immobile e uguale a se stessa per essere meglio ricordata, languì, si disfece e scomparve”.
Non ci è possibile conoscere il destino dell’Unisa, ne del posto rilevante o irrilevante che occuperà nella memoria di chi vi ha partecipato. Qualcuno la considera “casa”, qualcun altro prova entrandovi un forte senso di estraneità. Le associazioni orfane di sede, in maratona verso un piccolo spazio da occupare, percorrono la cittadella per chilometri e chilometri, forti di speranza e di detti popolari delle nonne anziane: “chi cerca trova”. Ma chi troverà loro senza un posto dove fermarsi? Riusciranno mai ad urlare STOP al traguardo? Costruiranno mai, come nel 1990, una laboratorio di sogni dove far vivere idee ed ideali?
Maria Vittoria Santoro