26 Maggio 2021
La sostenibilità ambientale è uno dei temi portanti dibattuti all’interno dell’Università degli studi di Salerno, che da sempre vanta un campus all’avanguardia dal punto di vista della sostenibilità. L’insorgere della pandemia ha fermato alcune iniziative messe in campo recentemente dall’Ateneo, che aveva iniziato, nel 2019, ad adeguarsi alle normative comunali relative alla raccolta rifiuti e alla promozione di dispositivi utili alla riduzione dell’uso della plastica. In un periodo così lungo d’assenza, si auspica un ritorno in una cittadina universitaria sempre più ecosostenibile, che declini la sostenibilità in tutte le componenti presenti nel campus. Cosa si prospetta per l’Unisa nei mesi a venire? Ne abbiamo discusso con Ciro Aprea, docente presso il Dipartimento di Ingegneria Industriale e Delegato del Rettore per le politiche di sostenibilità.
In qualità di delegato del Rettore alla sostenibilità quali sono i compiti e le responsabilità che questo ruolo comporta? In quali modi è declinabile il concetto di “sostenibilità” per l’ateneo?
La sostenibilità è un concetto abbastanza trasversale. Relativamente a ciò che si intende per sostenibilità, essa è declinata in generale in 17 obiettivi. Chiaramente non tutti i 17 obiettivi sono direttamente connessi alle attività universitarie, però in via diretta ci sono svariati collegamenti. Noi in particolare a Salerno abbiamo declinato la sostenibilità in sei obiettivi principali: problema delle acque, verde, educazione, comunicazione, energia, trasporti e il grosso problema dei rifiuti. Per ciascuna di queste tematiche è stato istituito un gruppo di lavoro -presieduto da un docente- che si confronta continuamente con altri gruppi di lavoro nazionali sui medesimi temi. Quindi la sostenibilità è declinata in queste tematiche nella nostra università, ed interferisce con altre realtà parte del nostro ateneo. Ad esempio, il gruppo di lavoro che si occupa di energia, si confronta continuamente con l’ufficio tecnico per cercare soluzioni sostenibili, come gli impianti per la produzione dell’energia, quindi fonti rinnovabili o fonti classiche assimilate alle rinnovabili, o fonti addirittura completamente classiche per cui si cerca di sfruttare al meglio le loro potenzialità, oppure si discute delle problematiche relative agli edifici, perché sugli edifici c’è molto da dire in termini di risparmio energetico e quindi anche di sostenibilità ambientale. Il problema dei rifiuti lo abbiamo affrontato con grande forza sia nel campus di Fisciano che in quello di Baronissi, portandoli entrambi ad elevatissimi livelli riguardanti l’ampliamento della raccolta differenziata. Abbiamo stanziato parecchie migliaia di euro per dotare tutti docenti, il personale tecnico-amministrativo e gli studenti di borracce di alluminio per limitare l’uso della plastica (con l’insorgere del Covid l’iniziativa ha subito dei rallentamenti). Il gruppo infrastrutture lavora molto sulle aree verdi, confrontandosi continuamente con l’ufficio tecnico per mantenere il più possibile i nostri spazi verdi; altro gruppo importantissimo è quello della comunicazione, affidato ad una docente, la quale tra le altre cose sta cercando anche di inaugurare dei corsi che possano istruire gli studenti e il personale tecnico amministrativo, per avere un’idea sempre più precisa di sostenibilità. Le attività sono molte e sono tutte quante in corso. Ovviamente hanno subito dei rallentamenti per quanto riguarda certi aspetti a causa della mancata presenza forzata delle persone nel campus. Invece il resto delle attività, come quelle relative all’energia e ai rifiuti, stanno andando avanti. Con la raccolta differenziata dovremmo raggiungere tra poco per il campus di Baronissi i medesimi obiettivi del campus di Fisciano. Questo è un prospetto di ciò che si fa all’università per l’ecosostenibilità. Chiaramente tutti questi gruppi di lavoro sono coordinati dal delegato del rettore alla sostenibilità.
Il lungo periodo di lockdown e di lezioni a distanza ha fatto sì che molti istituti di istruzione dessero vita al “learning outdoor”, ossia le lezioni all’aperto. È questo un tipo di iniziativa preso in considerazione dall’ateneo salernitano alla luce degli spazi verdi presenti nel campus?
Per adesso non è stato preso in considerazione. Abbiamo avuto una mancanza di accesso degli studenti al campus per un lungo periodo di tempo. La cosa è attualmente un po’ migliorata, e questa prospettiva che non è stata presa in considerazione. Non è detto che con la stagione estiva l’opzione non venga valutata. Tenga presente che questo non è un problema di sostenibilità, ovviamente c’entra perché la sostenibilità ha fornito in un modo o nell’altro un grosso numero di spazi verdi nel campus, però questa ipotesi potrebbe essere presa in considerazione anche considerando il fatto che studi approfonditi sulla propagazione del virus hanno praticamente relegato quasi a zero le possibilità di infettarsi all’aperto. Chiaramente sempre stando ad una certa distanza. Le nostre aree possono essere sfruttate proprio per queste iniziative.
In che modo l’Ateneo salernitano è vicino alla tematica relativa alla sostenibilità ambientale? Quali piani possono essere attuati per rendere l’università più ecologica?
Per quanto riguarda l’uso della plastica abbiamo pensato alla campagna riguardante le borracce di alluminio. Per le problematiche infrastrutturali -la nostra università è un’università che costruisce molto- c’è un’attenzione forte al problema dell’energia. Le strutture e gli edifici sono dei grossi utilizzatori di energia, quindi deve esserci una stretta collaborazione con chi la studia. Il campus ha fatto parecchio in questo senso, ha sfruttato tutto ciò che era sfruttabile per quanto riguarda le energie rinnovabili. Ormai è in dirittura d’arrivo la possibilità di installare pannelli fotovoltaici anche sui parcheggi che sono dotati di particolari pensiline. Esistono sistemi molto avanzati per la produzione di energia nel nostro campus, noi da questo punto di vista potremmo e vogliamo costituire un punto di riferimento per il territorio. Ovviamente possiamo discutere a lungo di sostenibilità, senza però dimenticare che tutti gli interventi che reputiamo sostenibili devono esserlo anche dal punto di vista finanziario. E allora l’università, proprio perché è sede e patrimonio di conoscenza, deve essere in grado di rendere gli interventi non solo sostenibili, ma anche finanziariamente sostenibili, cercando soluzioni tecniche -derivanti dalla conoscenza dei fenomeni- compatibili con l’ambiente. L’università in questo può dare un grandissimo contributo, è inutile apportare modifiche sostenibili se dal punto di vista finanziario non riusciamo a sostenerle. Noi abbiamo avuto molti impianti anche eccezionali dal punto di vista ambientale che sono falliti perché costavano troppo. Altro aspetto importante da considerare è la cosiddetta terza missione dell’università: tutte le soluzioni messe in campo devono essere applicate al territorio, e l’università deve essere un punto di riferimento, dando esempio di buone pratiche in campo ambientale e di sostenibilità.
Uno degli argomenti più discussi per quanto riguarda le tematiche ambientali riguarda l’uso della plastica. L’Ateneo aveva messo in atto alcune iniziative per ridurre l’uso, come la distribuzione delle borracce, ma su quest’ultima non si hanno più aggiornamenti. È una campagna che l’Unisa ha intenzione di riproporre? Quali ulteriori modi potrebbero essere attuati all’interno dell’ateneo sul tema della plastica?
L’università si è fermata ovviamente a causa della pandemia, abbiamo avuto un numero molto piccolo di frequentanti all’interno del campus. Porteremo avanti questa iniziativa. Già sono stati stabiliti il numero e la tipologia di borracce d’alluminio da distribuire. Abbiamo anche identificato nel campus tutti i luoghi dove saranno collocate delle fontanine per consentire il riempimento delle borracce. Tutte azioni volte alla riduzione dell’uso della plastica e al risparmio di risorse: eliminandola si riduce infatti anche la quantità di fonti necessarie a produrre la stessa plastica. Queste sono tutte delle manifestazioni di indirizzo che noi cerchiamo di dare alla società, ma non risolveremo totalmente il problema della plastica grazie a queste. Il problema della plastica esiste, non è assolutamente di facile risoluzione come si pensa, si tratta di un materiale estremamente presente nel nostro quotidiano, qualunque struttura consideriamo, fosse anche il nostro telefonino, è fatta in parte di plastica. Noi possiamo quindi soltanto indirizzare la comunità accademica e il territorio rispetto ad un’istanza da portare necessariamente avanti. Per fare un esempio, con il covid siamo ormai abituati a servirci dei monouso, perché chiaramente abbiamo un problema di igiene, e quello non è che un eccessivo utilizzo della plastica. Al di là delle buone intenzioni, purtroppo la tecnologia ci ha dato qualcosa di molto utile da utilizzare in situazioni di emergenza, dimenticandosi del loro impatto ambientale. Ciò mette in luce quanto determinate problematiche siano purtroppo molto più complesse di quanto possa sembrare. E il non riconoscimento della complessità non porta altro che alla non soluzione del problema, perché quando si ritiene che il problema sia molto semplice da risolvere si pensa di averlo risolto, ma senza comprenderlo a fondo in realtà ciò non avviene. L’università, ancora una volta, può dare un contributo sempre in termini di conoscenza, dicendo effettivamente come stanno le cose al di là dei facili atteggiamenti populisti che molto spesso si hanno su tematiche così delicate e così importanti per la nostra vita.
In tema di mobilità sostenibile rientra anche il piano della Regione Campania – approvato dal Consiglio di Amministrazione dell’Unisa – sulla possibilità di creare un collegamento tramite tappeti mobili tra la stazione di Fisciano e i due campus dell’ateneo. Questo potrebbe segnare un primo passo per ridurre il traffico in entrata e in uscita verso l’ateneo prodotto dalle auto e dai mezzi pubblici con conseguenti emissioni di gas nocivi per l’ambiente?
L’idea passò un po’ di tempo fa in sede di Consiglio d’Amministrazione, e tutte queste iniziative rivolte alla diminuzione del traffico veicolare sono sicuramente utili, perché noi abbiamo un flusso enorme di automobili -adesso ce ne siamo un po’ dimenticati- verso il campus e dobbiamo cercare assolutamente di ridurlo. Questa è una prospettiva che spero si possa effettivamente perseguire. Teniamo presente che per quanto riguarda determinati progetti da realizzare, gli attori in campo sono svariati, Stato e regione ad esempio. Bisogna poi capire dove verrà realizzata l’opera e i costi di manutenzione. Si tratta sicuramente di iniziative da spingere e portare avanti. Altre idee, e ancora una volta qui l’università deve dare il proprio contributo, devono essere vagliate attentamente. Ad esempio anche tutta la faccenda legata alla mobilità elettrica è sicuramente molto interessante, ma da valutare con molta attenzione, perché creare qualcosa solo per mostrarne l’esistenza all’università non può e non dovrebbe interessare. In generale però spostare la movimentazione delle persone sui mezzi pubblici anziché su quelli privati è un’impresa da perseguire. La proposta relativa ai tappeti mobili passò, come ho già accennato, in Consiglio d’Amministrazione nel 2018. Da quel momento personalmente io non ho più saputo qual è stato lo sviluppo di questa tematica, né lo ha saputo il gruppo trasporti che lavora attualmente. Quindi è probabile che per il momento sia fermo. Anche l’insorgere del covid forse ha contribuito a non portare avanti questo tipo di idea che personalmente mi vede molto molto favorevole, ma non potrebbe essere altrimenti, perché come sappiamo cominciamo ad avere problemi molto grossi ad accedere al campus in automobile a causa dell’affollamento eccessivo. Spostare la mobilità interna ed esterna sui mezzi pubblici è sicuramente un’azione necessaria.
Un nuovo piano ecosostenibile relativo ad una gestione corretta dei rifiuti e alla riduzione dell’uso della plastica era stato inaugurato pochi mesi prima dell’inizio dell’emergenza sanitaria. Il progetto già avviato sarà implementato? In che direzione intende muoversi l’università da questo punto di vista?
L’università sui rifiuti ha fatto davvero molto, abbiamo tra l’altro un coordinatore molto attivo nel gruppo rifiuti e addirittura abbiamo un west manager, cioè un manager amministrativo che cura questioni abbastanza spinose. Noi prima per il comune di Fisciano, a cui afferiamo per quanto riguarda la parte rifiuti, non facevamo abbastanza raccolta differenziata. In seguito la risposta dell’università fu molto forte rispetto alla raccolta, perché tra l’altro questa nostra mancanza comportava un impegno economico notevole per le casse dell’Ateneo. Le iniziative messe in campo sono visibili, sono stati posizionati in varie parti del campus i contenitori appositi contrassegnati diversamente in funzione delle sostanze da immetterci, inclusi tutti i rifiuti elettrici ed elettronici, a cui abbiamo dedicato grande attenzione. Ciò che mancava era una campagna del genere nel campus di Baronissi, per il quale abbiamo istituito un gruppo di lavoro che in questo momento sta replicando quanto è stato fatto per Fisciano. Dare un contributo per quanto riguarda la raccolta rifiuti non è semplice, il campus è molto grande, c’è un’interazione tra studenti, docenti, addette alle pulizie, le quali hanno poi la necessità di differenziare a loro volta durante la raccolta anche in studi e uffici, anche lì sono stati collocati dei raccoglitori appositi e create delle isole con contenitori adatti, dotate inoltre anche di un sistema di lavaggio. Posso ritenermi soddisfatto del lavoro del gruppo rifiuti, del west manager in generale di tutte le iniziative portate avanti. Su questo siamo davvero a buon punto grazie al lavoro dei colleghi.
In questi mesi di “inattività” (almeno per quanto riguarda le attività in presenza) sono state apportate delle migliorie o dei cambiamenti alle strutture presenti nel campus per renderle meno impattanti sull’ambiente? Se no, l’università intende agire in tal senso?
Dal punto di vista delle strutture e dell’impatto sull’ambiente, come dicevo prima, c’è sempre stata molta attenzione. Quindi quello che conviene fare quando è possibile, e lo abbiamo fatto, è agire in fase di costruzione, creando una struttura nel rispetto dell’ambiente, utilizzando determinati materiali o impianti per esempio. Tutte cose che noi abbiamo fatto nel tempo, quindi non abbiamo oggi la necessità di adeguare le strutture. Quello che noi possiamo fare, e lo stiamo facendo, è migliorare le nuove strutture, rendendole sempre più moderne rispetto a quelle di precedenti. Però la necessità di andare ad adeguare le strutture -intendo strutture come involucro- non c’è. Per quanto riguarda gli impianti, è evidente che noi ogni volta che agiamo su questi, per quanto riguarda la loro sostituzione ad esempio, cerchiamo di essere attenti all’impatto ambientale che può avere il nuovo impianto, e questo lo facciamo con il nostro gruppo energia, all’interno del quale, va tenuto presente, molto spesso collaborano anche degli amministrativi del campus e dei docenti, delle presenze che fanno funzionare determinate dinamiche in un certo modo. Nel periodo di lockdown noi abbiamo iniziato i lavori per alcuni nuovi invarianti, ovviamente abbiamo continuato le operazioni di manutenzione, e lì dove c’è stata necessità siamo intervenuti sugli impianti creando soluzioni sempre più innovative.
Il questionario sottoposto alla classe studentesca relativo ai trasporti mette in luce la possibilità da parte dell’università di incrementare il servizio. Una di queste proposte è presente anche nei programmi elettorali della comunità studentesca e riguarda l’incremento del bike sharing. Avete altre proposte sostenibili relative ai trasporti? C’è la possibilità che l’aumento del servizio non benefici invece sull’ambiente?
Per quanto riguarda i trasporti, in termini di discussione e confronto con tutte le società, il confronto è sempre aperto. Un adeguamento in prima battuta va fatto per soddisfare le esigenze dell’utenza, e poi per ottenere dei vantaggi perché limita, come dicevamo prima, anche il traffico privato. Per quanto riguarda la mobilità interna, ed è già noto, circolano delle navette a basso impatto ambientale. Stiamo cercando di capire se è il caso di istituire delle colonnine di ricarica per i mezzi elettrici, perché avremo a disposizione un grosso campo fotovoltaico che sarà costruito tra poco. In ogni caso questi tipi di interventi, come dicevo prima, di tipo dimostrativo, servono a far capire quanto questo tipo di tecnologia sia applicabile, e questo vale in tutti i campi della tecnica. Ciò dipende anche dalle condizioni in cui ci si trova ad operare. Ogni tecnologia, se ben applicabile in astratto, va sempre poi calata nella realtà in cui uno vuole realmente applicarla. Noi come università possiamo mostrare, per esempio, che è possibile fare funzionare una macchina con l’elettricità creando l’intera catena di ricarica. Quanto poi però questo sia effettivamente possibile lo lasciamo alle valutazioni locali. Ritornando alla questione trasporti, sicuramente quelli collettivi devono essere incrementati e saremo orientati verso nuove tecnologie, come quelle dell’energia elettrica nel prossimo futuro. Abbiamo molti gruppi di ricerca che si interessano del tema, di strategie anche di ottimizzazione dei punti di ricarica e di modalità di ricarica delle vetture e di modalità di ricarica delle vetture. Un’altra nostra caratteristica è proprio quella di proporre soluzioni che molto spesso derivano dalla ricerca, e per fortuna il nostro campus ci da anche la possibilità di sperimentare tutto questo, esistono svariati esempi di colleghi che sono riusciti ad applicare le loro ricerche all’interno del nostro campus.
La pandemia ha rilevato quanto sia fondamentale riflettere adeguatamente sull’utilizzo degli spazi. L’ateneo non può di certo considerarsi un luogo piccolo, tuttavia determinati luoghi (come ad esempio le stanzette ai piani più alti) sembrano lasciati a sé. In che modo l’ateneo potrebbe tentare di riorganizzare i propri spazi affinché siano tutti maggiormente utilizzati?
Il problema degli spazi riguarda parecchie realtà. Noi in realtà avevamo identificato addirittura una commissione spazi, che si è dedicata appunto alla gestione non solo degli spazi inutilizzati, molto spesso resi poi utilizzabili dagli studenti, ma verificò che non sempre la disponibilità astratta o reale corrisponde ad una vera fruibilità da parte degli utenti. C’è un grosso problema di aule sovrautilizzate e altre sottoutilizzate, e su questo l’ateneo qualche anno fa ha fatto un grande sforzo per consentire alle singole persone che passavano per un referente di identificare gli spazi liberi e andarli ad occupare, invece di andare a costruire direttamente nuove aule, il che avrebbe avuto un impatto non solo economico-finanziario ma anche ambientale. Noi abbiamo cercato di ottimizzare l’utilizzo delle aule che già esistono. Per quanto riguarda la presenza di aree per lo studio, anche questa è un’attenzione che si è cercata di avere tra tante difficoltà. Oggi gli studenti stanno usufruendo di alcuni spazi che un tempo erano piuttosto abbandonati. Questo è uno sforzo che l’ateneo ha cercato di fare ed è una problematica che ha molto presente, tale appunto da istituire una commissione spazi composta da rappresentanti del Consiglio d’Amministrazione e del Senato che misero a punto una strategia dell’utilizzo delle aule per evitare delle discrepanze che si avevano. Rispetto all’impatto che può avere la pandemia sugli spazi, non dobbiamo dimenticare che abbiamo un campus estremamente moderno, le nostre aule sono quasi tutte condizionate, e già alcune sono adatte a funzionare con grossi ricambi di aria, il che potrebbe dare una certa tranquillità anche per quanto riguarda il grado di occupazione in riferimento al virus. Quindi da questo punto di vista possiamo dire di essere a un buon livello.
Nonostante l’ateneo salernitano disponga di due campus, quello di Fisciano e quello di Baronissi, le differenze tra i due sono abbastanza evidenti: per tanto tempo Baronissi ha avuto una mensa con pochissimi posti, non ha una biblioteca al pari di quelle di Fisciano e gli spazi in generale sono molto più carenti. In che modo a suo avviso è possibile intervenire verso un’equiparazione più netta tra i due luoghi?
Non ho avvertito questo problema in maniera così evidente, o meglio l’ho rilevato maggiormente negli anni precedenti. Se però la domanda posta mostra un’esigenza diversa e fa capire che non c’è questa equiparazione, si tratterebbe di un problema legato in qualche modo alla sostenibilità, ma più in generale all’organizzazione dell’Ateneo ed è quindi necessario portarlo alla luce, a Baronissi c’è la possibilità di creare nuovi spazi.
La Redazione